Nelle ultime 24 ore, oltre 40 milioni di persone su Instagram hanno partecipato a una mobilitazione globale diffondendo una catena nelle loro storie con lo slogan "All eyes on Rafah".
Insieme a questa storia, sta circolando anche lo slogan “It’s a genocide, not a war” con oltre 850.000 condivisioni. Questo nuovo trend ha catturato l'attenzione di molti, mettendo in luce la tragica situazione del campo profughi di Rafah a sud della Striscia di Gaza, recentemente colpito da un raid israeliano.
Perché questa storia, e non altre sullo stesso tema, è diventata virale?
🔸Forza emotiva: in un contesto così complesso come quello di Gaza, prendere una posizione netta può risultare difficile. Tuttavia, c'è una verità incontestabile che unisce milioni di persone: la perdita di vite innocenti. La forza emotiva dello slogan risiede proprio nella sua capacità di permettere alle persone di esprimere il loro sostegno e la loro empatia in un modo socialmente accettabile, lontano da estremismi o proteste violente.
🔸Immagine esplicativa e messaggio: l'immagine simbolo di questa mobilitazione, generata con l’IA, rappresenta un campo profughi che ricorda Rafah, con le lettere dello slogan formate da tende. Questa rappresentazione ha avuto un successo particolare non solo per la sua estetica, ma per il forte messaggio di speranza e sostegno che trasmette. Quando un messaggio positivo risuona con le emozioni delle persone, ha un potenziale molto maggiore di diffondersi e diventare virale rispetto a costrutti negativi e polarizzanti.
I social media hanno dimostrato, ancora una volta, di avere un potenziale incredibile nel diffondere messaggi ad ampio raggio in tempo reale mobilitando le masse.
Sebbene questi trend non possono cambiare immediatamente la situazione, contribuiscono a creare consapevolezza, conoscenza e ad alimentare piccoli movimenti pacifici. E come ci insegna la storia, spesso movimenti pacifici iniziati su piccola scala possono portare a cambiamenti significativi.
#alleyesonrafah